Shipper

Shipper

Episodio particolarmente ricco di scene memorabili, di mistero e di momenti carichi di dolcezza.

Brennan è come se venisse investita da un treno. E’ a New Orleans, in una città lontana ed estranea, si risveglia coperta di sangue e ferita senza alcuna memoria di quello che sia successo nelle 24 ore precedenti, è completamente priva dei suoi punti di riferimento ed estremamente vulnerabile. Non vediamo la scena, ma sappiamo che lei chiama Booth. Non vuole che la raggiunga ovviamente, ma evidentemente è a lui che fa sapere di essere in ospedale e in difficoltà.

Mi sono sempre chiesta perché non abbia chiamato Angela: non è la sua migliore amica? Il gesto per me è una chiara dimostrazione di quanto Brennan ormai faccia affidamento sul suo partner e di quanto abbia bisogno di lui.

L’arrivo precipitoso di Booth quando Brennan è ancora in ospedale, la sua preoccupazione e delicatezza mentre le parla e controlla le sue ferite mettono in evidenza non solo quanto sia forte il loro legame, ma quanta tenerezza ci sia nel loro rapporto. Rimane quasi sempre nascosta sotto la superficie dei loro bisticci e discussioni, ma è lì, intatta e pura.

La vicenda si dipana, Brennan si ritrova sempre più coinvolta in un incubo di delitti orrendi per i quali viene accusata e di malefici voodoo che dovrebbero ricadere su di lei. La polizia locale non le dà tregua mentre qualcuno da qualche parte ha cercato di ucciderla e in qualche modo le ha causato un’amnesia che le impedisce di difendersi.

Ma c’è Booth accanto a lei ed è come se l’essere insieme abbia il potere di proteggerla da forze oscure che indeboliscono la sua usuale sicurezza.

Booth con grande coraggio e determinazione la protegge a 360 gradi. Le procura un avvocato difensore, una persona di cui lui si fida e che li raggiunge a New Orleans come favore personale. Sottrae dalla scena del crimine l’orecchino smarrito di Brennan, oggetto che apparteneva a sua madre e a cui lei era affezionata. Trovato dalla polizia in quel luogo sarebbe una prova schiacciante che la inchioderebbe come artefice del delitto. Questa azione pesantemente illegale, se scoperta, distruggerebbe la carriera di Booth istantaneamente. Non c’è dubbio che lui si renda conto di quanto grave sia quello che ha fatto e quali ripercussioni potrebbe esserci, ma la sua certezza nell’innocenza di Brennan, la sua cieca e totale fiducia in chi sia la sua partner e la volontà di proteggerla evidentemente hanno il sopravvento e decide di agire in una manciata di secondi.

Ma non finisce qui: Booth punta la pistola contro il detective della polizia locale che irrompe nella camera di Brennan per arrestarla. E’ lei che va senza creare ulteriori problemi, se avesse dovuto decidere lui non avrebbe mai abbassato l’arma o non avrebbe mai permesso che la portassero via.

In una delle scene finali, quella in cui incastrano il colpevole, vediamo una Brennan da ammirare senza riserve. Tutta la sua sicurezza, in sé stessa e nella razionalità logica, traspare forte e senza incertezze. E’ la sua grande forza, e le ha permesso prima di sopravvivere ad un attentato alla sua vita, e dopo al tentativo di intimidirla e manipolarla psicologicamente. Lei non crede alla magia e riprende finalmente il controllo delle proprie paure.

Già, non crede in ciò che non si vede, non crede in poteri soprannaturali. Non crede nemmeno che gli oggetti abbiano particolari poteri sulle persone, quindi non si sente colpita dai malefici che le sono stati lanciati. E mentre afferma convinta le sue ragioni, circondata dai suoi colleghi al Jeffersonian, l’orecchino di sua madre, quello che pensava di aver perso per sempre, ricompare proprio come per magia nella mano di Booth.

“Dove l’hai trovato?” chiede stupita.

“Cosa importa? E’ solo un oggetto, senza nessun potere sulla tua vita” è la risposta sorniona di Booth mentre si appresta ad andare via.

Brennan rimane a guardare il gioiello che ora si trova nelle sue mani. “Questo dimostra qualcosa?” chiede un’Angela curiosa.

“Sì, dimostra qualcosa” sono le parole di Brennan, pronunciate mentre il suo sguardo rimane sulla porta, quella varcata da Booth pochi secondi prima.

Forse l’orecchino in sé non prova niente, ma il gesto di Booth ha invece per lei un valore immenso, tutto quello che ha fatto per lei a New Orleans ha un significato potentissimo.

Booth ha creduto in lei persino quando lei stessa ha incomincato a dubitarne, ha creduto nella sua innocenza persino quando ha visto il suo orecchino sul luogo del delitto, pur di difenderla ha messo a rischio la sua carriera, reputazione e soprattutto la sua integrità. Ha chiesto favori personali pur di aiutarla.

Brennan sa comprenderne tutta la portata. Non sono gli oggetti ad avere un potere su di noi, ma le azioni e i sentimenti di chi ci sta al fianco fanno tutta la differenza.

Ma Booth le ha ridato solo un oggetto? Mi piace pensare che questo gesto sia fortemente simbolico: Booth le ridà ben di più di un orecchino, lui è la persona che la salva, non solo dai pericoli esterni, ma anche da se stessa. L’orecchino di sua madre rappresenta il legame di Brennan con il suo passato, con gli affetti a lei più cari e con la sua capacità di amare. Ed è questo uomo ad averlo ritrovato, è lui che le rende questo tesoro. Questa scena racchiude in sè tutto il senso della storia di questi personaggi.

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