L’episodio ai Raggi X

Il caso

Un cadavere carbonizzato viene rinvenuto sulla tomba di un soldato decorato in Irak, al cimitero di Arlington. Un caso che porterà a galla scomode verità e dolorosi ricordi per Booth.
Ed un penultimo episodio decisamente coraggioso. Parlare della guerra in Irak e dei suoi lati oscuri nell’America di Bush non può non innescare polemiche.
C’è chi ha ritenuto che questo episodio condannasse la guerra in Irak e lo ha amato per questo.
Altri lo hanno odiato considerandolo anti-Bush.
Gli autori hanno affermato di aver cercato di mantenere un approccio neutrale ed equilibrato

I protagonisti: particolari, dinamiche, evoluzione

Il nodo focale di quest’episodio si esprime bene in uno scambio di battute tra Brennan e Booth.
E’ una parte necessaria della psicologia di guerra“, dice lei. “Eroi e cattivi. Senza chiare distinzioni come questa, non saremmo capaci di combattere“.
Sì, beh, ho sempre pensato che essere sotto tiro fornisca un fattore di motivazione“, replica Booth.
Due modi diversi di pensare. Non gli unici. L’intero episodio è un caleidoscopio di svariati punti di vista. In ogni dialogo le opinioni si diversificano allargando la panoramica sulla tematica gravosa dell’essenza della guerra, di chi la combatte, di chi la guarda dallo schermo di una tv.
Ovviamente la puntata ruota intorno a Booth. E scopriamo veramente tanto su di lui. Sapevamo già che il suo passato di soldato e specialmente di cecchino nascondeva ricordi spiacevoli, ma ora scopriamo che il Seeley Booth beffardo e sexy, dal sorriso pronto e il grande cuore, ha dentro di sé un dolore profondo, che gli pesa sull’anima.
Lo si comprende via via dalle cose che dice, quasi per caso, parlando in generale, ma è facile intuire l’eco dell’esperienza personale in esse.
Ad un certo punto, per esempio, Brennan si stupisce nel sapere che l’ex soldato morto su cui stanno indagando fosse solito trascorrere tutto il suo tempo con la sorellina tredicenne, subito dopo il congedo dall’Irak. Booth invece lo capisce benissimo.
Quando torni dalla guerra, ce l’hai ancora addosso, sai? Vuoi intorno qualcosa di puro. Qualcosa di innocente. Gli adulti… vogliono che tu riviva tutto. Vogliono storie di guerra, come se fossero un intrattenimento“.
E’ un caso difficile, questo, per Booth. E Brennan se ne accorge.
Penso che tu ti senta ancora un militare, Booth“, gli dice. “ Potresti essere troppo coinvolto. Voglio solo essere certa che tu ti mantenga obbiettivo“.
Booth reagisce male: “So come fare il mio lavoro, ok? Lo facevo bene anche prima di incontrarti“.
Lei gli fa notare che è arrabbiato.
Beh, magari perché ho intorno gente che esprime opinioni sulla guerra, senza sapere di cosa diavolo sta parlando“, ribatte lui.
Brennan gli precisa di essere stata in Sudan e in Rwanda e di aver lavorato per due mesi sulle vittime dell’11 settembre.
Ma il punto di vista di un’antropologa che ha assistito agli effetti della guerra può essere lo stesso di un soldato che quegli effetti li ha egualmente provocati e subiti sulla sua stessa pelle?
Quel che conta è che oltre alla preoccupazione per il caso, in Brennan emerge anche una genuina preoccupazione per Booth. Un desiderio di non farlo sentire solo:
Sono la tua partner“, gli dice. “Lasciami essere la tua partner“.
A questo proposito, si confida anche con Angela, più di una volta.
Gli uomini non sono come noi“, le spiega Angela. “Sono molto più fragili e bisognosi. E il fatto che loro pensino che siamo noi quelle bisognose, è la testimonianza della nostra superiorità“.
E’ dura per Booth“, riconosce Brennan. “E’ un idealista“.
Angela commenta che è bello che esista ancora qualcuno che vuole mantenere vivi l’onore e la responsabilità. Già. Ma Brennan si sente come se Booth pensasse che lei glieli stia portando via. “Quando lo guardo…“, si rammarica. “… non so cos’altro fare“.
Io sì “, replica Angela.
E Brennan lo interpreta come un doppio senso, rimproverandola. Se volessimo fare psicologia gratuita, qui, ne avremmo ben donde… Comunque Angela non si lascia fregare:
Non parlo di quello. Parlo di esserci, per lui. Anche un semplice gesto, è abbastanza“.
Mmm… con i gesti la nostra antropologa non è esattamente un asso. Difatti commenta che magari potrebbe scrivere a Booth un biglietto. Lei sa essere molto articolata sulla carta. Come no.
Peraltro anche Angela hai i suoi problemi con Jack. Il barlume di complicità che si era instaurato negli episodi precedenti subisce una battuta d’arresto.
Insomma, si parla di guerra. Figurarsi se Jack non si lancia nelle sue teorie sui complotti e le coperture politiche. E’ un po’ aggressivo, insistente. Angela, più possibilista, mal digerisce il suo atteggiamento. Gli consiglia di abbassare la voce per non sentire solo sé stesso. E Jack è colpito: lui è abituato a non essere ascoltato, crede che gridare forte sia l’unico modo di essere udito. Tenta poi di blandirla, scusandosi maldestramente:
Posso almeno passarti un po’ di materiale informativo da leggere?“.
Angela non è propensa: “Puoi provarci. Ma poi cammineresti in modo buffo per una settimana“.
E’ un’altra la strada per giungere ad una rappacificazione. E passa attraverso Booth.
In un momento difficile dell’indagine, Jack gli si avvicina:
Mi dispiace, amico“, gli dice. “Mi dispiace davvero“.
Quello che hai fatto per Booth, prima“, gli dice poi Angela. “Mostrargli che capivi. Quello è stato bello“.
Durante l’episodio facciamo anche la conoscenza di un ex compagno d’armi di Booth. Era nella sua stessa unità in Kossovo, si chiama Hank Lutrell ed ora fa il giudice.
Sembrano avere un rapporto di buona amicizia, dato che anche la moglie e i bambini di Hank conoscono Booth e chiedono di lui.
Hank sta su una sedia rotelle. Brennan chiede come mai.
Si è fatto male“, risponde sbrigativamente Booth.
Il dialogo privato tra lui e Hank è interessante e condito di rivelazioni inaspettate.
Tipo questa: Hank è preoccupato che il suo amico possa aver ricominciato a giocare d’azzardo.
Eh, già. Ecco una novità su Booth che ignoravamo. Aveva il vizio del gioco. E non si trattava di una cosetta da poco, dal momento che Booth rassicura Hank dicendo che frequenta regolarmente i suoi incontri (tipo gli alcolisti anonimi) ed evita persino il Monopoli.
Intrigante. E’ una dipendenza che ha sviluppato dopo l’esperienza militare? O durante?
In ogni caso ora si spiega un particolare ricorrente per l’intera stagione. Avrete notato che Booth tiene quasi sempre qualcosa fra le mani per poi spesso farla saltare. A volte si tratta di accendini, di palline… ma in certi casi si tratti di fiches. Fiches da gioco. Un modo per rammentarsi di non ricaderci?
Booth si confida con Hank sul caso. E poi va oltre. Fa un misterioso riferimento a ciò che hanno fatto.
Hank lo stoppa, ma Booth insiste. Ne è valsa la pena? Per finire su una sedia a rotelle?
Mi hai salvato la vita“, obbietta Hank. “Ho una splendida famiglia grazie a te“.
Booth non è convinto. Il suo discorso diventa sempre più criptico. Si chiede perché debbano esserci sempre segreti. Accenna a quell’ ultima volta. Hank gli rammenta che avevano una scelta, che lui conosceva il rischio. Gli domanda se ne abbia parlato con qualcuno. No, Booth non lo ha fatto.
Devi“, gli consiglia Hank. “Che mi dici della tua ragazza? La dottoressa?“.
Figurarsi se Booth non precisa subito che lei è solo la sua partner.
Ma… ragazza o partner che sia… Booth decide alla fine di seguire il consiglio di Hank e nell’intenso finale rivela parte del suo dolore a Brennan. Che a sua volta segue il consiglio di Angela e si limita ad ascoltarlo, a toccarlo, a fargli capire che è lì per lui.
Lui le racconta di quando, in Kossovo, ha dovuto eliminare un generale serbo responsabile della pulizia etnica, della morte di 232 persone. Gli ha sparato alla festa di compleanno di suo figlio. Un bambino di circa sette anni che non sapeva chi fosse suo padre, che semplicemente gli voleva bene e l’ha visto morire di fianco a sé. A Booth hanno detto che ha salvato almeno un centinaio di persone, ma lui ha ancora in testa l’immagine di quel bambino ricoperto del sangue del padre. Non riporto le parole esatte, vanno ascoltate.
Va detto che purtroppo questa splendida scena finale sembra racchiudere un errore narrativo della serie. Assumendo che la tempistica sia parallela al nostro tempo presente, sappiamo che i fatti di quest’episodio si svolgono nella primavera del 2006. Bene, pochi mesi prima, nell’autunno del 2005, la serie ci ha raccontato di Howard Epps, il condannato a morte arrestato da Booth sette anni addietro, cioé presumibilmente nel 1998. Ergo, Booth era già un agente dell’FBI, allora.
Però… ehm… mi risulta che la guerra del Kossovo, con annesso intervento americano, sia datata primavera 1999. Se mi sbaglio, qualcuno mi corregga. Ma se non mi sbaglio, le date non tornano. Voglio credere che l’errore stia nella data d’arresto di Epps, perché questa storia del Kossovo è veramente molto bella. E realistica. Ricordo la guerra del Kossovo. Quella primavera mi impressionò molto.
A meno che… Booth sia stato inviato in missione non ufficiale prima del 1999?
Chiudo con una scena carina.
Quest’episodio non è solo drammatico. Gli autori di “Bones” sono sempre bravi ad inserire qualche momento brillante. Come Booth e Brennan che a turno imitano The Duke, ovvero John Wayne. Booth non se la cava male, ma Brennan…
Lascio che Booth si esprima per me.
Che cos’era questo? Il Duca? Era orribile. Sembrava Jerry Lewis

La scena

Non ci sarebbe nemmeno bisogno che lo scrivessi. Ovviamente quella finale. Indipendentemente dal possibile errore nelle date, questo finale resta bellissimo e coinvolgente. E David Boreanaz assolutamente magnifico. Nella versione originale, la sfumatura di pianto nella sua voce è emozionante.
Non si tratta mai soltanto della persona che muore, Bones. Mai. Mai. Moriamo tutti un po’, Bones. Con ogni colpo, moriamo tutti un po’“.

La battuta

Brennan: “Adesso leggi anche nella mente?”.
Booth: “Forse. Vuoi che indovini il tuo peso?”.
Brennan: “Fallo e potresti perdere un dente“.

Il mio parere

Ho un ricordo preciso di quest’episodio. Quando andò in onda in America, avevo un’amica ospite a casa mia (Michela, aka Pedistalite, anche lei fan della serie) ed il giorno dopo ci precipitammo a leggere i commenti sui forum e i live journal. Ce n’erano tantissimi. I più – a parte alcune voci polemiche – entusiasti. Ed il commento più ricorrente era sulla performance recitativa di David nel finale. Rammento che una ragazza raccontò che aveva avuto problemi di ricezione e aveva veduto malissimo le immagini. Ma udire la voce di David in quella scena era bastato a farla commuovere. Esageravano?
Io posso dire di aver “visto crescere” David (recitativamente parlando), da bel ragazzo senza esperienza ma con un certo istinto e molta presenza, ad un uomo che oggi è capace di convincere con le sfumature brillanti e da commedia ed ugualmente in scene come questa, dove non si può giocare con lo charme e bisogna mostrare tutta la debolezza di un essere umano.
Circa l’episodio, lo ritengo completo, equilibrato. Anche coraggioso. Non solo ha affrontato il tema poco simpatico degli incidenti da fuoco amico, ma ha anche messo in scena un errore sul campo ancora più clamoroso (e purtroppo fin troppo vero, molte volte): l’uccisione di civili inermi. Senza fare di tutta l’erba un fascio, in un senso e nell’altro.

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