Shipper

La tragica storia di questo episodio, che narra di giovani vite distrutte senza un vero perché (è la guerra), offre l’opportunità per sbirciare finalmente nell’animo di Booth e nel suo passato militare.

In realtà è anche un momento davvero importante che mette alla prova la qualità del rapporto tra i due partners. É infatti Booth adesso a varcare la soglia dell’insicurezza e del dolore, a prendere le distanze da Brennan e a perdere il suo equilibrio. Ed è lei che deve riuscire a compiere lo sforzo e dimostrare la sua maturità emotiva per potergli stare al fianco. Con un po’ di aiuto ci riuscirà.

Dall’inizio delle indagini l’umore di Booth cambia drasticamente: la morte di un militare che ha servito in Iraq lo riporta con la mente alle sue esperienze di cecchino nei Ranger. Si ritrova sulla tomba di un ex commiltone morto in servizio. Una nuvola cupa e nera si abbassa sul suo animo e dai suoi occhi traspaiono, senza censura, solo dolore e rabbia. Brennan se ne accorge subito, percepisce immediatamente il turbamento di lui e vorrebbe tanto fare qualcosa. Vorrebbe trovare le parole per aiutarlo e fargli capire che lei c’è e che nell’affrontare questo caso lui può contare sul suo appoggio, ma riesce soltanto ad inasprire l’umore di Booth. D’altro canto lui stesso a piccole dosi cerca di tagliarla fuori, sia dalle indagini  (“Non c’è bisogno che venga anche tu”) sia dal suo tormento interiore (“Non ho nessun problema con questo caso, è solo un caso come un altro”) negando quanto in realtà stia soffrendo. E stia anche compromettendo le indagini: il suo coinvolgimento emotivo non gli consente di essere obiettivo ed imparziale e gli impedisce di prendere le giuste decisioni con lucidità.

“Sono la tua partner, lasciami essere la tua partner” lo esorta lei. Lui non si apre, anzi, più la verità sul caso sembra venire a galla, più Booth sembra rinchiudersi nel suo dolore. E la determinazione con cui Brennan, molto professionalmente, persegue le indagini, sembra soltanto dirottare la rabbia di lui verso la sua partner.

L’unico con cui Booth riesce a parlare è un suo vecchio amico, una persona che aveva servito con lui in una missione in Kosovo ed è rimasto su una sedia a rotelle ma che apparentemente è riuscito a superare molto meglio di lui quelle brutte esperienze. Gli consiglia di non tenersi tutto dentro, ma di trovare il coraggio di rivelare gli orrori visti e di raccontare quello ha fatto, quello che evidentemente gli pesa così tanto sulla coscienza.

Anche Brennan riceve un consiglio prezioso, ovviamente dalla saggia Angela. Per far capire a qualcuno che gli si è vicini, per fargli sapere che può contare su di noi a volte basta un piccolo gesto, un tocco gentile al momento giusto. Non c’è bisogno di grandi discorsi, non c’è bisogno di grandi dimostrazioni.

E nella commovente scena finale (questo è uno di quegli episodi in cui ho pianto come una fontana) Booth trova finalmente il coraggio di raccontarsi. E sceglie di farlo con lei.

“Ho fatto delle cose” incomincia lui ma Brennan lo rassicura subito “Ma è ok”.

“Devo essere sincero riguardo a me stesso, devo poter essere capace di parlarne” continua Booth. “Ci riuscirai” gli risponde delicatamente Brennan “con il tempo ci riuscirai”.

Però il tempo è adesso. Booth non solo ha bisogno di tirare fuori la sua colpa e la sua vergogna, ha anche bisogno davvero di spogliarsi, almeno una volta, di fronte a lei e farsi vedere per quello che è. Un uomo che è stato un soldato, un cecchino, un assassino che uccideva a sangue freddo. Per una causa giusta, senza dubbio, ma è racchiusa tutta qui la meravigliosa umanità di Booth. Non si perdona di aver stroncato vite, di aver causato dolore, di aver causato male invece di averlo combattuto com’era sua intenzione. E forse pensa che se lei, se chiunque sapesse chi sia lui in realtà, non saprebbe perdonarlo come lui stesso non ne è capace.

Ma Brennan non solo non lo giudica e quindi non ha nessun bisogno di perdonarlo, ma rimane accanto a lui, ascolta le sue parole in silenzio, piange con lui, non distoglie lo sguardo da lui per tutto il tempo fino a quando il racconto finisce. Senza dire una parola appoggia la sua mano sul braccio di Booth, una stretta gentile, il tocco di cui parlava Angela, quello che sa dire più di mille parole.

Gli occhi di lui si fissano a guardare la mano di lei, quella che lo sta toccando, quella che gli sta dicendo che va tutto bene e che lei è lì per lui.

Ci pensa qualche secondo e poi la ricopre con la sua, la tiene e la accarezza con un delicato movimento del pollice.

Di nuovo quel contatto intimo e profondo, totale, accompagnato da un semplice gesto fisico, lasciando che rimanga il silenzio tra loro perchè non c’è bisogno di emettere alcun suono, non esistono parole che possano dire abbastanza.

Risuona ancora nella mente la frase di Booth del primo episodio: “I partners condividono e si dicono cose, aiuta a costruire la fiducia”. Ma la strada che loro due hanno percorso è andata ben oltre. Sono riusciti ad aprirsi e a mettere allo scoperto parti di sé che entrambi mai prima di allora avevano mostrato ad alcuno.

E’ un rapporto che va ben oltre una affiatata collaborazione professionale, è un legame che coinvolge ogni angolo recondito e privato del loro cuore, è  un rapporto che non ha segreti né  bugie.

E’ un’amicizia che ha già le qualitá  per essere molto di piú, un’unione di anime. Basta solo che Booth e Brennan le permettano di crescere.

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