La 5^ stagione (e non solo) ai Raggi X

PERCHE’ SONO FOLLEMENTE INNAMORATA DI BONES E NON CE L’HO CON HART HANSON

Dissertazioni  di una fan di Seeley Booth e Temperance Brennan
(E il guaio è che, dopo 5 anni, non ho intenzione di smettere…)

a cura di Dreamhunter

  1. Premessa
  2. Parola di Carl Sandburg (e di Hart Hanson)
  3. Brennan: il sogno cancellato
  4. Booth: il sogno perduto
  5. Booth e Brennan: ieri, oggi… e domani?
  6. Conclusione

Nota dell’autrice: “Vorrei sottolineare che questo commento è intitolato “Perché sono innamorata di Bones”, ovvero si riferisce a me, ai miei motivi per cui apprezzo Hanson, per cui interpreto il telefilm in un certo modo e per cui non mi ritengo d’accordo con altre opinioni.
Quando sei innamorato hai voglia di esternare questo sentimento, anche a chi non è innamorato e non può capire perché tu lo sei, ma questo non significa che tu pensi che chi non è innamorato sia un cretino.
Quindi, per favore, nessuno vi legga spregio verso pareri differenti.
Questa è una mia personale dichiarazione d’amore, non di guerra”.


1- Premessa

Su una cosa, forse una sola, noi fan di Bones (gli shipper perlomeno) siamo pressoché tutti d’accordo: vorremmo vedere Booth e Brennan insieme, il prima possibile. Non è ancora successo e forse non siamo nemmeno sicuri che succederà e nell’attesa c’è chi aspetta in silenzio, chi costruisce ipotesi e illusioni, chi si arrabbia o si allontana deluso. Perché noi siamo solo gli spettatori e non gli autori della storia. Quello che mi chiedo personalmente è: perché guardo questa serie da cinque anni se è altro che vorrei vedere? Solo per la speranza che qualcosa cambi? Oppure in realtà apprezzo anche la storia che mi viene raccontata, per quanto differente sia dai miei desideri?

L’anno scorso, alla conclusione della quarta stagione, appartenevo alla fazione dei delusi. Più che altro perché gli autori avevano giocato troppo con gli spoiler, vantandosi di scelte brillanti poi rivelatesi piuttosto banali e uguali a tante altre. E nonostante le molte splendide scene tra Booth e Brennan, nonostante la magia sprigionata dalla recitazione di David ed Emily, una parte di me cominciava a domandarsi, dopo quattro anni, quanto credibile potesse ormai essere la storia di due adulti che si giravano intorno all’infinito senza concludere ancora nulla.

Questa del resto è la maggiore critica mossa dai non-fan, coloro che non seguono il telefilm e dal di fuori colgono solo l’inconsistenza del “lo faranno/non lo faranno”, senza percepire le tante sfumature e la profondità della serie. Io, da appassionata, le vedevo ma, nonostante il rinnovo sicuro per due ulteriori stagioni, iniziavo a temere che Hanson & company fossero alla frutta. E pensavo “vorrei vedere altro”.

Ebbene Hanson lo ha fatto. Mi ha dato dell’altro. Molto altro. Più di quanto immaginassi o potessi aspettarmi.

In una quinta stagione praticamente perfetta. Egregiamente calibrata e di rara introspezione psicologica. Un poco mi dispiace che una percentuale di fandom non ne abbia colto la bellezza, ma sono lieta di essere tra quelli che invece ci sono riusciti.


2- Parola di Carl Sandburg (e di Hart Hanson)

Bones: nothing happens unless first a dream

Nothing happens unless first a dream.

Questa frase di Carl Sandburg campeggia all’inizio di una delle scene topiche dell’ormai famosissimo centesimo episodio. E praticamente chiunque ha ripensato al doppio sogno della season finale della quarta stagione.

Un doppio sogno che emerge qua e là per tutta il quinto anno, come  i cerchi creati da un sasso gettato in uno stagno. Lo ritroviamo negli abiti (Booth indossa spesso il tre pezzi completo di jilet simile a quello portato nel sogno, Brennan a volte mette camicette o abiti molto femminili che rammentano quelli della Bren del racconto), riecheggia nelle parole, nelle citazioni. Soprattutto è una sorta di filo rosso che percorre le emozioni dei due protagonisti.

Riflettere sulla season finale della quarta stagione, dopo aver visto per intero la quinta, mi ha fatto capire qualcosa di importante su Hart Hanson. Ovvero che non è un autore da interpretare e valutare a caldo. Non sempre, perlomeno. Può sorprenderti, anche sulla lunga distanza.

Di primo acchito, ero infatti rimasta molto delusa dalla 4×26, che mi era parsa nulla più di una fan fiction in immagini, indizio di una mancanza di idee e di intraprendenza. Col senno di poi, comprendo di essere stata probabilmente un tantino severa, nonché presuntuosa nel mio giudizio. A dirla tutta, è di una complessità insospettata, davvero brillante. Accecata dalla delusione iniziale, proprio non l’avevo notato.

Ma la quinta stagione mi ha aperto gli occhi. Mea culpa.

Sembra poco più di un gioco, questa travagliata season finale. Un contentino per i fan, il solito trucco della dream sequence che ci permette di vedere Booth e Brennan a letto insieme e sposati, senza che  sia sul serio così. E in parte è vero, in superficie. Al di sotto, però, nel profondo, c’è ben altro: un’accuratissima indagine psicologica di Booth e Brennan. Di lei, in particolare. Ricca di indizi precisi su ciò che avverrà.

Il famoso racconto scritto da Brennan durante il coma di Booth anticipa molto della quinta stagione, soprattutto del centesimo episodio e delle ultime due puntate. Hanson non ci mente. Forse lo ha fatto prima, ma da questo momento in poi ci offre tutti gli elementi di cui abbiamo bisogno, senza inganni o trucchi, li mette a nostra disposizione e piano piano li ricompone, sino alla season finale, nel mosaico completo.

Non so se tutto sia insito in un suo progetto a lungo termine o se sia frutto di un abile lavoro di coesione realizzato strada facendo, in ogni caso per la sottoscritta il risultato è fantastico.

Eccolo.


3- Brennan: il sogno cancellato.

Brennan: il sogno cancellato

Vedi due persone e pensi che appartengono l’una all’altra, ma non succede nulla.

Questo scrive Brennan. E sono parole che descrivono perfettamente il suo rapporto con Booth e il pensiero costante degli spettatori. Noi sappiamo, con intima certezza, che Brennan e Booth si appartengono, eppure da quattro anni non sta succedendo nulla tra loro. Quantomeno non quello che davvero dovrebbe succedere…

Anche Brennan si riferisce a se stessa e al Booth della realtà, non a quelli del doppio sogno, che invece sono sposati, felici, in attesa di un bambino. Tra loro tutto è già successo e sta succedendo. Ma non sappiamo come. Nemmeno Brennan lo sa. Non ci racconta come si siano incontrati e innamorati, come siano arrivati al matrimonio. Non ha idea di come una donna e un uomo arrivino a questo traguardo. Non sa come potrebbe arrivarci lei, sebbene evidentemente, nel profondo, lo desideri.

Infatti si immagina diversa. Una donna che non ha mai visto un cadavere e che dimostra sollievo all’idea che lei e il suo compagno non risolvano omicidi per mestiere. Di fatto nella propria fantasia rinnega alla base la sua essenza di antropologa e il lavoro che ha unito la sua vita a quella di Booth. Da subito, nonostante la delusione, ricordo di aver pensato che questi fossero segnali con un significato importante e da non sottovalutare e la quinta stagione ha comprovato che non mi era sbagliata.

Brennan ama Booth e probabilmente realizza appieno di amarlo proprio vegliandolo mentre è in coma, ma riesce ad immaginarsi al suo fianco solo in un universo parallelo, dove i parametri sono differenti. Non cambia troppo le radici di Booth, che un tempo era un soldato proprio come nella realtà, ma cambia le proprie. E questo non è casuale. Non può esserlo. Sembra che Brennan creda di poter stare con Booth solo non essendo veramente se stessa, in un mondo dove vivono un’altra vita.

E’ una via di fuga tipica di chi scrive. Quando ritieni di non poter avere qualcosa, te la prendi con l’immaginazione, ma la sicurezza di non poterla comunque ottenere ti segue anche nel sogno e ti obbliga a modificare il sogno stesso. Potrai arrivare a ciò che desideri solo con un alter ego, che, contrariamente a te, non ha i tuoi stessi difetti o non incappa nei tuoi stessi ostacoli.

Amando qualcuno ti esponi alla sofferenza. E’ questa la triste verità. Forse quel qualcuno ti spezzerà il cuore. Forse tu spezzerai il suo. E dopo non sarai mai più capace di guardarti allo stesso modo. Questi sono i rischi. Il pensiero di perdere tanta parte del controllo sulla propria felicità è intollerabile. Questo è il fardello. Come ali, che hanno un peso. Sentiamo quel peso sulle nostre schiene. Ma sono un peso che ci fa innalzare. Un peso che ci permette di volare.

Così si conclude il racconto di Brennan. In lei il desiderio di correre quel rischio c’è. Vorrebbe provare il peso di quelle ali. Vorrebbe volare. Lo ha ripetuto anche a voce alta. Glielo si legge negli occhi. Ma il senso di inadeguatezza, la paura della caduta, sono più forti. E Brennan cancella il racconto appena terminato. Non può conservare nemmeno il sogno. Non può credere neanche nella felicità della sua alter ego.

Questo è un messaggio ben preciso da parte di Hanson. Ci illustra il problema centrale di Brennan. Ciò che le imprigiona l’anima e il cuore. Che la terrorizza così tanto da farla scappare all’estero appena l’uomo che ama si risveglia dal coma. I primi giorni, ci viene detto nella premiere della quinta stagione, lui ha creduto di essere sposato con lei e Brennan doveva scomparire, allontanarsi da questo Booth che si comportava come quello delle sue fantasie. Troppo doloroso affrontarlo, probabilmente. Perché, al contrario di Booth, lei non aveva modo di trasformarsi nella Brennan del sogno. Non poteva cambiare. Non sapeva come.

Nella premiere, Hanson continua a sottolineare questo suo limite, grazie all’eccellente personaggio di Avalon Harmonia, la sensitiva che, attraverso i tarocchi, denuncia a voce alta l’eterno interrogativo interiore di Brennan: perché qualcuno dovrebbe amarla? Perché Booth, soprattutto, dovrebbe farlo?

Il particolare sconvolgente è che Avalon le da una risposta importante: le dice che lui, Booth, vede la sua verità e ne è abbagliato. In altre parole lui ama proprio lei, la donna che è, così com’è. Avalon sta dicendo a Brennan che non ha bisogno di cambiare, che non ha bisogno di immaginarsi diversa, in un sogno da cancellare appena fatto, che è già amata e desiderata e accettata nella realtà, così com’è.

Brennan la ascolta? Capisce? Comprende?

Per gli spettatori non è facile stabilirlo. Il suo comportamento è ambiguo e molti, durante il corso degli episodi, finiscono con il convincersi che lei sia pronta e che stia solo aspettando che Booth, particolarmente fragile in questa stagione, si decida ad agire. Il centesimo episodio chiarisce poi che non è affatto così, ma non credo che neppure in questo caso ci sia da parte di Hanson un inganno o un’ incoerenza narrativa. Brennan è innamorata di Booth e spesso neppure la sua razionalità può frenare i suoi sentimenti e allora quello che prova per lui emerge, nei gesti, nelle parole, negli slanci spontanei e sinceri nei suoi confronti. Slanci che inducono a pensare che lei si stia adattando alla possibilità di poter dare una chance a questo rapporto e che invece fanno parte della sua evoluzione sentimentale. Quello che intendo è che Brennan ora sa amare, ma ancora – e questo è il grosso ostacolo – non accetta di essere amata. Non ci crede.

Dice infatti il saggio che alla base dell’amore, oltre alla capacità di dare, c’è quella di saper ricevere.

E Brennan, che un tempo, non dava né riceveva, dedita solo al rapporto con le ossa su cui lavorava, ora sicuramente ha imparato a dare. E quanto da. Agli amici, alle vittime, alla famiglia. A Booth, in particolare, a cui garantisce appoggio e sostegno per tutta la stagione. Lo dichiara persino, di aver cominciato a credere nell’amore, grazie all’incontro con lui. E qui molti spettatori si sono illusi…

Sì, Brennan ora crede nell’amore. Il suo cuore è aperto verso l’esterno. Ma le porte che conducono all’interno restano chiuse. Serrate dalle catene delle sue paure. Dall’ansia dell’abbandono, il cupo presentimento che tutto sia destinato a finire, a svanire e non ci sia speranza per qualcosa di duraturo.

Diventa chiaro nel centesimo episodio. Ma prima di approfondire questo punto fondamentale, occorre parlare anche di Booth. L’altra metà della mela.


4- Booth: il sogno perduto

Booth: il sogno perduto

Mentre il personaggio di Temperance Brennan, per le sue peculiarità, a volte è detestato o non capito (specie dai non fan), Seeley Booth viene spesso sottovalutato, quasi che fosse ritenuto meno complesso della sua controparte femminile, sebbene sia altrettanto ricco, stratificato e caratterialmente curato, in realtà.

Alla base della sua psicologia, come nel caso di Brennan, c’è la famiglia. Lei rifugge dall’averne una perché le è stata strappata in maniera scioccante, lui al contrario ne desidera una per esorcizzare le mancanze e i difetti di quella che ha avuto. Booth vuole riuscire in ciò in cui non è riuscito suo padre. Fare l’opposto dell’esempio che ha avuto da lui. Essere come nonno Hank, forte e protettivo, una roccia per quelli che ama, pronto ad onorare le responsabilità. Ragazzo picchiato e abbandonato, in un ambiente famigliare in cui ben poche cose erano giuste, diventa un uomo intenzionato a rendere giusto il mondo per gli altri, non solo in campo lavorativo, scegliendo prima l’esercito e poi l’FBI, ma anche nella vita affettiva. Quante volte, in questi anni, lo abbiamo sentito dire che doveva mettere a posto le cose? Che prometteva che sarebbe andato tutto bene? Che lui era lì e se ne sarebbe occupato?

Nella prima stagione, Angela lo definì un cavaliere con l’armatura scintillante dell’FBI. E Cullen, il suo capo, disse che gli si addiceva il termine “paladino”. Nella quarta stagione, una poliziotta inglese lo ha scherzosamente reso cavaliere, in effetti, e nella premiere della quinta, più persone hanno ribadito che ha il cuore di un leone.

Tutto vero. Booth è il tipo d’uomo pronto a dare la vita senza esitazione per coloro che ama e per gli indifesi in generale. Un eroe naturale. Ma non è solo questo. Questa è la maschera, l’armatura scintillante di cui parlava Angela, lucida e ben tenuta come la sgargiante fibbia con scritto sopra “cocky” che ormai è il suo simbolo e l’ostentazione della sua sicurezza virile.

La sua partner indossa la razionalità un po’ ottusa dell’antropologa geniale per difendersi dal mondo, lui si barrica dietro la simpatia, la forza e la virilità per nascondere i propri lati oscuri. Che Hanson ha iniziato a mostrarci praticamente da subito, sin dalla prima stagione, e che, via via, hanno acquistato sempre maggiore solidità e radici robuste. In netto contrasto infatti con il suo perenne scopo di esserci per gli altri, di aiutare e proteggere, Booth serba dentro di sé fragilità e aggressività, chiaro retaggio del clima di violenza in cui è cresciuto, che confluiscono nella dipendenza dal gioco d’azzardo, nell’intima dicotomia che lo porta ad affidarsi alle regole e al contempo a sfidarle con un senso innato di ribellione. Lo stesso motivo per cui arresta il padre di Brennan ma ugualmente ne comprende il codice d’onore. Ha una forte individualità, ma le contraddizioni insite nella sua natura lo portano di frequente al senso di colpa e al senso di allarme: se esce troppo dai ranghi, non finirà con l’assomigliare a suo padre?

Nel profondo le sue problematiche non sono poi molto dissimili da quelle di Brennan.

Per lei il terrore più grande è di essere lasciata indietro. Di sbagliare qualcosa e di essere abbandonata da coloro che ama e che smettono di amarla. Per Booth credo che la più grande paura sia deludere, fallire nella sua missione di proteggere e rassicurare, e quindi di essere respinto, rifiutato per la sua debolezza.

Si tratta sempre di senso di inadeguatezza, alla fine.

Un’inadeguatezza che tallona Booth da vicino, respirandogli sul collo. Suo padre se n’è andato e lui non sa che è stato il nonno a cacciarlo via. Suo fratello ha con lui un rapporto di costante competizione, che Booth stesso senza volerlo peggiora, atteggiandosi a padre putativo. E suo figlio lo adora, ma è nato da una donna che si è opposta al matrimonio: una sconfitta per Booth, che non ha potuto dare al suo bambino la famiglia regolare e salda che desidera.

Perché, a dispetto della sua personalità contraddittoria, del clima famigliare disastrato che ha conosciuto, Booth ha sogni semplici e romantici, molto vividi e precisi. Crede nell’amore che dura una vita, e ha un’idea chiara della felicità. Lo si comprende bene dal suo sogno della season finale della quarta stagione. Se la fantasia narrativa di Brennan diceva molto di lei, quella onirica di Booth dice molto di lui.

Nel sogno è un uomo sicuro ed equilibrato, che sembra essersi riconciliato con la propria aggressività e non ha timore di sfoggiarla. Ha dipendenti che lo rispettano e ammirano ed è lui a dettare le proprie regole, opponendosi a chiunque cerchi di violare i confini del suo mondo. Soprattutto ha una moglie bella, intelligente e innamorata, con cui ha costruito un rapporto paritario e forte – hanno un’attività lavorativa insieme e sono soci – e che presto sarà coronato da un figlio.

Vuole questo, Seeley Booth. Essere marito e padre, al centro di un progetto lungo una vita. Sentirsi completo e in equilibrio.

Lo vuole così tanto che il risveglio da quel sogno è amaro e sconfortante. Dopo un primo momento di esaltazione, che minaccia di farlo straripare dagli argini come un fiume, la realtà piomba su di lui, con tutte le sue complicazioni e i suoi dubbi. Ad ostacolarlo sorgono muri esterni (le raccomandazioni un po’ soffocanti degli altri, in primis di Sweets che insinua che i suoi sentimenti siano frutto del suo tumore e quindi non veri) e muri interni, perché il suo impulso primario gli impone di proteggere Brennan, anche da se stesso, se serve, per non ferirla o spaventarla. Di nuovo, più che mai, la sua eterna dicotomia interiore sospesa tra rispetto delle regole e l’istinto di sfidarle, lo tormenta, gettandolo nella confusione, nella paura di sbagliare, di fallire. Se non agirà nel modo giusto farà del male a Brennan. La deluderà. E verrà rifiutato.

Quanto è stato criticato questo povero Booth in preda alla fragilità… E quanto invece secondo me è stato bravo Hanson a raccontarci delle sue insicurezze, quanto lo ha reso umano, vero ed imperfetto. Un Booth che, come nota l’acuto occhio critico di Angela, dopo il sogno durante il coma, è più triste, cupo, frustrato.

Con Brennan condivide il senso di inadeguatezza e temo anche l’incapacità di concepire di poter essere amato. E’ più socievole di  lei  soltanto in apparenza, ma di fatto non ha amici suoi, una serie di relazioni non significative alle spalle e pochi legami famigliari, nonché una tendenza alla riservatezza. Rivela le proprie problematiche (l’esperienza del Kossovo, per esempio, l’alcolismo del padre) raramente e spesso solo se spinto dalle circostanze. Lui è quello che aiuta, non quello che va aiutato. Lui è quello che porta gli altri sulle spalle, anche per anni e anni, come il fantasma di Teddy Parker che a un certo punto gli dice “lasciami andare, mettimi giù, smettila di portare questo peso”.

Qualche volta ci riesce, qualche volta chiede. Come quando prega Brennan di assistere alla sua operazione al cervello. Ma al contempo, nell’immediato, torna ad essere quello che fa la cosa giusta e le raccomanda anche di usare il suo sperma come le aveva promesso, se non dovesse sopravvivere. Sottotitolo: ho paura, ho bisogno di te, ma quello che soprattutto conta per me è fare il mio dovere di tuo protettore sino alla fine e darti ciò che desideri, perché questa è la cosa giusta.

Diversi, ma maledettamente simili, questi due. Speculari. Si incastrano come la saliera e la pepiera di Cam e la figlia adottiva Michelle vista nella quarta stagione. Entrambi, ognuno a modo proprio, con la paura di non amare abbastanza, di amare male.

Il che significa che Hanson non ci sta raccontando una semplice, banale storiella giocata sull’eterna domanda “lo faranno/non lo faranno”, come molti credono. No, niente affatto. Ci sta raccontando una storia complicata e difficile. Classica, nel suo romanticismo lento e sottile, ma contemporaneamente molto moderna, con i suoi personaggi fragili e segnati dalle paure e dai limiti così frequenti negli uomini e nelle donne odierni.

Questa è una storia che di banale non ha proprio niente.

E la prova incontrovertibile è il centesimo episodio.


5- Booth e Brennan: ieri, oggi… e domani?

Booth Brennan sottobraccio episodio 100

C’è chi mi ha detto di non riuscire a leggere fan fiction sul centesimo episodio, perché non è possibile modificare alcun particolare di qualcosa che è già perfetto.

Concordo. E nel mio piccolo di scrittrice, provo un’ammirazione totale per Hanson e per il modo geniale in cui, in soli quaranta minuti, ha ricostruito il significato di quattro stagioni e mezzo passate, creato una svolta epocale nel presente e in qualche modo cambiato il percorso per il futuro. Ripeto, in quaranta minuti.

Ci può riuscire solo uno veramente bravo, gente.

E come ha ricostruito il significato di quattro stagioni e mezzo passate?

Per anni il rapporto tra Booth e Brennan si è dipanato sul filo dell’ambiguità, tutto lasciato alle interpretazioni dei fan. Che sono sempre state molte e disparate. C’era chi sosteneva che in realtà Brennan non fosse affatto attratta da Booth, o chi pensava che Booth nutrisse solo affetto fraterno per Brennan. Poi chiaramente c’era la larga parte di fandom che era certo del loro amore reciproco non dichiarato. Altri ancora vedevano fra loro una forte amicizia che sarebbe stato meglio rimanesse tale. Tante opinioni, tanti punti di vista, e nessuna vera certezza, perché la narrazione non rispondeva mai del tutto alle solite eterne domande.

Questo almeno sino alla fine della quarta stagione e alla prima parte della quinta, dove il doppio sogno di vita matrimoniale prima e l’ammissione di essere innamorato fatta da Booth poi, hanno iniziato a dissipare la nebbia e a mettere alcuni punti fermi attesi da tempo. In un episodio addirittura i due “indagatori della mente” della serie, Sweets e Gordon Gordon, dichiarano senza mezzi termini, nero su bianco, che Booth e Brennan sono innamorati l’uno dell’altra. Alla buon’ora.

Ma è con il centesimo episodio che Hanson spinge il pedale. Non solo tra Booth e Brennan il legame è di indubitabile natura romantica, ma l’attrazione fra loro è di vecchia data, molto anteriore all’amicizia che abbiamo visto svilupparsi in seguito. Una sorta di colpo fulmine reciproco e per nulla nascosto.

Facciamo un balzo all’indietro e ritroviamo Booth e Brennan più giovani  e acerbi, sei anni fa. Un anno prima degli eventi che hanno dato il via effettivo alla serie. Mirabilmente ritratti: sono proprio loro e non lo sono. Differenti da quelli di oggi e molto vicini a quelli del pilot, eppure altri ancora. Con qualcosa di fresco, come personaggi nuovi di zecca pronti per essere scritti e raccontati.

Lei è la Brennan genialmente e simpaticamente ottusa dei primi tempi, con gli abiti più sportivi ed etnici e gli scudi difensivi tutti alzati. Lui il giovane Booth ancora senza un vero ufficio, vestito con pignola perfezione e per contro giocatore d’azzardo, molto meno paziente, molto più aggressivo.

Si incontrano, si studiano, si piacciono. E, magia delle magie, se lo dicono! Questa è un’assoluta sorpresa. I fan hanno trascorso anni a dissertare sull’attrazione nascosta e negata tra loro: lei sa di piacergli? Lui sa di piacerle? Sono consci di desiderarsi?

Come no. Se lo sono praticamente detto dopo un paio di giorni di conoscenza. Alla faccia della lentezza. Questi due giovani prototipi dei due protagonisti che così ben conosciamo flirtano apertamente, ammiccano, si seducono con gli sguardi e con le parole, e in una notte di pioggia parlano di sesso e si danno un bacio di quelli da collasso cardiocircolatorio.

E il giorno dopo… Il giorno dopo eccole, lì, chiare, le loro due controverse psicologie, ancora agli albori, più aspre, non ancora smussate dal rapporto a venire.

Brennan è stata così coinvolta da quel bacio, che ha rinunciato alla soddisfazione fisiologica per non farlo con Booth obnubilata dalla tequila che avevano bevuto. E sospetto anche perché, tra i fumi della tequila, i suoi campanellini di allarme hanno tintinnato furiosamente per l’emozione. Il giorno dopo, quindi, è arrabbiata, per motivi professionali e non solo. Contrariata, già in fuga. Il bell’agente dell’FBI ha aperto una crepa là dove molti altri erano andati solo semplicemente a sbattere. Quando le cose via via degenerano, Brennan arriva a schiaffeggiarlo. A dirgli che lo odia. Odio: che parola grossa per un uomo incontrato da poco. Che parola grossa per una razionale come lei…

Dal canto suo, Booth è così preso, che subito prima di baciarla, sente il bisogno di confessarle del gioco d’azzardo e subito dopo decide di smetterla, di non sfogare la frustrazione per il due di picche nel biliardo. L’ha incontrata da una manciata di giorni e già è pronto a cercare di essere migliore per lei. Già ha l’istinto di non volerla deludere. Segue persino subito i suoi consigli su come dimostrare la propria ribellione attraverso gli accessori. Ma questo Booth è giovane, immaturo, ancora troppo arrabbiato. Come un po’ lo aveva descritto l’avvocato Amy Morton nella prima stagione. E’ arrogante, con Brennan, aggressivo, dice  e fa le cose sbagliate (alcune particolarmente, come quando nomina il padre di lei) e agevola la fuga di Brennan.

Sono l’uomo giusto e la donna giusta nel classico momento più sbagliato. Si sono trovati e si perdono subito perché non sono ancora capaci di andarsi incontro e di provare a capirsi. E si separano, incolleriti.

Ecco. Ecco perché sostengo che Hanson ha riscritto il significato di quattro stagioni e mezzo passate. Ora che sappiamo di questo burrascoso, passionale inizio, tutto cambia. Tutto assume una luce differente.

Si sono trovati e persi, Booth e Brennan, sì. Ma non persi del tutto. L’impressione che hanno prodotto l’uno sull’altra è stata così forte, che, nonostante non si siano frequentati per un anno e nelle loro vite ci siano stati nel frattempo altri incontri sentimentali, sono rimasti uniti da un filo invisibile eppure resistente.

“Non lavorerò mai più con te”, aveva sbraitato lei, ma si è ispirata a lui per il protagonista maschile del libro che ha scritto in quel periodo. Interessante, se si considera che pretendeva di odiarlo.

“Chi te l’ha chiesto?!”, aveva ribattuto lui, ma nell’anno seguente ha mantenuto l’impegno di non giocare più d’azzardo e ha continuato ad indossare cravatte sgargianti e calzini colorati. In nome del poco tempo che aveva passato con quella insopportabile antropologa che poi è dovuto andare a cercare di nuovo…

Faccia a faccia per la seconda volta, ricominciano daccapo. A causa di questo filo che li unisce, teso, già robusto. Decidono di mettere da parte l’attrazione sessuale, per non rischiare di rovinare tutto, e lavorano sull’amicizia, sulla fiducia, sulla reciproca comprensione. Che non è malvagia come idea in sé, se si pensa che Brennan è abituata a fare sesso con gli uomini e poi ad allontanarli. Avrebbe potuto farlo anche con Booth. Così invece lui ha l’opportunità di spingersi più a fondo, nell’universo emotivo di lei, di chiunque altro.

E quanto diventa più vera e sensata la loro danza, adesso. Non è più il balletto di due colleghi che lentamente si scoprono attratti ma tentennano girando in tondo. Questa è la danza complessa di due persone che si sono piaciute da subito, così tanto da superare il primo rovinoso impatto e reinventarsi insieme come amici, creando un legame talmente profondo da rendere quasi impossibile trasformarlo. Riportare a galla quell’attrazione potente, mai venuta meno, ma tenuta a freno per cautela, fa paura. Perché se andasse male, avrebbero così tanto da perdere. Non solo più un amante, ma un compagno di vita, l’amico migliore.

Che ironia. L’amicizia ha permesso loro di avere il tempo di impararsi e di scoprirsi, ma ha anche posto tra loro l’ostacolo maggiore. Un’arma a doppio taglio.

Che ironia e che bravo autore Hanson, nell’imbastire questo intreccio. Lo saprà o gli sarà riuscito a caso?

Forse non voglio davvero una risposta.

Però che bella, ancor più di prima, la serie adesso, in quest’ottica. Tutta intera, da rivedere, da rivalutare. Certo c’è qualche contraddizione, qualche piccola incoerenza, effetti collaterali fisiologici, immagino, e comunque molto pochi rispetto invece ai punti guadagnati da tante scene finora non del tutto comprensibili. Ha tutto senso, tutto funziona, anche molto di ciò che in precedenza mi destava perplessità. Non ho più necessità di chiedermi perché ancora Booth e Brennan non stiano insieme. Ora lo so. Hanson me lo ha spiegato.

E arriviamo alla svolta epocale nel presente.

Booth e Brennan che si baciano e si confrontano a viso aperto sui reciproci sentimenti. Wow. Credevamo che un momento simile non sarebbe mai arrivato. Ma eccolo. Ed è stato bellissimo.

Eccoli di nuovo, i nostri due protagonisti, quelli attuali, più vecchi, più profondi, più segnati dagli eventi vissuti insieme, eppure perfettamente in carattere con i loro stessi di sei anni prima. Perfettamente in carattere con tutto il percorso sino a qui.

Brennan con la sua paura di essere amata e di non amare nel modo giusto. Brennan che sogna di essere sposata e di aspettare un bambino come qualsiasi altra donna, ma poi cancella quella fantasia perché parla di una donna diversa che lei non può diventare. Brennan che vorrebbe credere nell’amore trascendentale, duraturo, ma che pensa che nulla possa durare, nulla che la riguardi, quantomeno. E allora resiste a Booth, lo respinge. Gli dice che deve proteggerlo da se stessa. Gli dice che lei non può cambiare. Che non sa come cambiare.

Non ha ascoltato davvero Avalon, quando le ha detto che lui vede la sua verità. Che la vede per quello che è. Che la ama per quel che è. O se l’ha ascoltata, non si è concessa di crederci. Di avere fiducia, speranza in quella possibilità.

Booth con la sua paura di non amare abbastanza. Di non fare la cosa giusta. Di deludere, risultando non all’altezza. Dopo mesi di dubbi, si butta e usa tutte le parole sbagliate. Proprio a Brennan, terrorizzata dall’irrazionale e dai legami duraturi, parla di rischio e di un futuro lungo trenta, quaranta, cinquant’anni. Afferma di averlo sempre saputo, sin dall’inizio. Di essere quell’uomo, l’uomo giusto, che sa che loro sono destinati l’uno all’altra. Una mezza verità, credo. Lui l’ha davvero sempre saputo, ma lungo il percorso spesso è stato il primo a non crederci e forse lo ha realizzato solo ora, nello stesso momento in cui lo dice.

Ma ha la stessa paura di essere amato e accettato di Brennan. La stessa sua sfiducia. “Lei non mi ama”, aveva confessato solo qualche tempo prima a Gordon Gordon. “Se mi amasse lo saprei”. Sotto sotto, Booth non crede di poter essere amato davvero da Brennan. Pensa di avere il suo affetto, una forma di amore, certo, ma non l’amore sognato. E così come lei non ha ascoltato Avalon, lui non ascolta più lei e non la sente mormorargli che non sa come cambiare. Si arrende perché in fondo era praticamente certo che sarebbe andata così. Che lei gli avrebbe detto no. Ne era così certo che ha già il discorso di autodifesa in tasca, pronto per l’uso.

Lei gli chiede di poter lavorare ancora insieme, anche dopo che le carte sono scoperte, e lui accetta, ma subito, con la velocità di chi deve aver  meditato molto su quell’uscita di sicurezza, aggiunge che dovrà andare avanti. Trovare qualcuno che lo ami, per tutta una vita.

Parole importanti. Per difendersi dal dolore, ma non pronunciate a caso. C’è una lucida sofferenza in esse. Pacato realismo. Cercherà qualcuno che lo ami. Non da amare. Perché Booth non concepisce di poter amare un’altra donna come ama Brennan. Ma pensa anche che se non può essere amato da lei, vuole essere amato da qualcuno. Vivere almeno un poco, per consolazione, forse, il sogno di una famiglia, di una compagna. A volte, come lui stesso aveva asserito proprio nella premiere, ci si deve accontentare della seconda miglior soluzione.

“Lo so”, ribatte Brennan. E lo sa perché ricorda il marito della sua fantasia. Felice, realizzato, sereno. Sa che Booth è nato per vivere in quel modo. E se lei non può cambiare, lui ha diritto a volgere lo sguardo altrove.

Fanno una gran tenerezza entrambi. Li guardi e capisci che non c’erano parole giuste che Booth avrebbe potuto usare. E che non c’è aiuto esterno che Brennan possa aspettarsi per riuscire a cambiare. O ad accettare di non dover cambiare. I problemi sono dentro di loro, curabili solo da loro stessi.

Il domani, già… Avranno un futuro insieme questi due? Riusciranno a superare i loro ostacoli interiori? A trovare il coraggio di lasciarsi amare e  riamare liberi dal senso di inadeguatezza? Oppure si perderanno nuovamente, nascondendosi dietro nuove finzioni e nuovi illusioni?

Qui arriviamo al punto in cui, sempre nel giro di soli fatidici quaranta minuti, Hanson ha anche cambiato il percorso per il futuro. Il rifiuto e la rinuncia che ci ha mostrato infatti non hanno il sapore di una fine ma di un inizio. L’inizio, questa è stata la mia immediata impressione, di un nuovo cammino difficile. Su un altro livello, però comunque non semplice. Perché non sono semplici i problemi da risolvere.

Gli episodi successivi al centesimo l’hanno dimostrato. Il rapporto è apparso da subito differente, sfumato da una nuova consapevolezza reciproca e da una nuova forma di finzione. Booth e Brennan sanno di non potersi più definire solo amici, se non a parole, se lo portano scritto negli occhi ogni volta che si guardano, ma pretendono, per un po’, di fingere di poterci passare sopra e di poter essere quelli di prima. Qualche volta ci riescono, quando dimenticano per un istante il presente e si abbandonano ad un ballo, a una canzone. Qualche volta uno dei due o entrambi si oppongono strenuamente al cambiamento in atto. Altre volte ancora provano a tentare altre vie, convincendosi che si possa farlo in modo indolore.

Ma è tutto un conto alla rovescia.

Sweets, pur avendo mancato un po’ il bersaglio con il libro dedicato alla relazione tra Booth e Brennan, non si è sbagliato su una cosa. Cioè il fatto che se si fossero baciati, la diga si sarebbe infranta. E aveva ragione. Non riguardo al primo bacio, corretto alla tequila, da cui è stato possibile fuggire. Non riguardo al secondo, indotto da un ricatto e facile da rimuovere. No, ha ragione riguardo al terzo bacio. Quello senza scuse, quello dato da Booth a Brennan, senza se e senza ma, senza ubriacature e ricatti. Il bacio nudo e crudo, che ha cambiato tutto e tirato fuori la verità.

Dopo questo bacio poteva essere solo una questione di tempo. E non verso l’happy end, come in tanti hanno sperato. Una donna che asserisce di non poter cambiare, di non sapere come, purtroppo non cambia da un giorno all’altro, nemmeno se sarebbe molto romantico e farebbe felici i fan. No, una donna in queste condizioni, può solo sentire sempre più forte il bisogno di fuggire, di respirare, di allontanarsi.

Cosa che puntualmente succede. E poteva andare solo così. Se Hanson ci avesse raccontato qualcosa di diverso forse ci avrebbe accontentati (alcuni di noi) ma sarebbe stato un narratore incoerente.

Le ultime due puntate della quinta stagione sono come un episodio two parter per me. Le percepisco concatenate, complementari. La prima perfetta, la seconda decisamente meno, ma entrambe ineccepibili per quel che concerne l’epilogo tra Booth e Brennan di quest’anno. L’unico possibile, il più giusto.

Eccellente che sia la figura sinistra del Grave Digger ad incarnare la goccia che fa traboccare il vaso ormai al colmo di Brennan. E’ costretta a misurarsi con tutti i mutamenti della sua esistenza. Di colpo non sa più se aprire il cuore l’abbia rafforzata o indebolita. Si sente soffocare, schiacciare. E Booth è al centro del vortice. E’ consumata dalla preoccupazione per lui, dall’ansia di perderlo sul lavoro, ma la verità più profonda è che non sa più come vivere o gestire il rapporto con lui, che definizione attribuirgli. Non c’è una parola che lo contenga, un pensiero razionale che possa risolverlo come un’equazione.

Booth tenta di trattenerla, ma nei suoi occhi l’angoscia è evidente. Sa che lei si sta allontanando, sa che il loro magico connubio è incrinato e si sta sfaldando. In questo senso la scena del taxi, che richiama quella del centesimo episodio (e il taxi ha persino lo stesso numero) è un piccolo tocco di genio e di classe. Allora pioveva e loro erano più giovani e ubriachi, sull’orlo di qualcosa che non capivano bene, che sentivano nel sangue. Questa notte il cielo è sereno e loro sono un po’ più vecchi, tristemente sobri, sospesi su qualcosa che capiscono sin troppo e che potrebbe essere tanto dolce e semplice e invece risulta dannatamente difficile e amaro.

Non è bellissimo? A me lo sembra, porca miseria. Proprio bello, bello, bello. Mi viene da ripeterlo come una bambina piccola all’asilo.

Sulla season finale ho udito mille e più pareri. C’è chi si è lamentato che Booth e Brennan non siano stati sinceri l’uno con l’altra. E chi ha obbiettato che se lo fossero stati non avrebbero avuto bisogno di separarsi. Appunto. Concordo con la seconda fazione. E soprattutto non trovo che siano stati poi così insinceri.

La verità è lì, tra loro. Non hanno necessità di dirsela e forse non sarebbero nemmeno capaci di comunicarsela nella maniera appropriata.

Lui ha chiesto di non prendere decisioni affrettate, nell’episodio del Grave Digger, di riflettere. Ma vede che lei vuole comunque partire, allontanarsi da lui. E l’unico modo che ha di sopportare questo è partire a sua volta, prendere le distanze lui stesso dalla vita che non condivideranno più insieme. Servirebbe a qualcosa se le dicesse che la ama, che non vuole che parta?

Ne dubito. Brennan lo interpreterebbe come l’ennesimo slancio di quell’ottimismo di Booth che lei apprezza ma spesso non condivide e gli risponderebbe che lo fa anche per lui. Per proteggerlo.

Servirebbe a qualcosa se lei gli dicesse, come rivela ad Angela, che parte per cercare nuove prospettive sulla sua vita e sul rapporto con lui?

Non lo so, ma così come Booth non ha ascoltato il suo “non so come cambiare”, ho qualche dubbio sul fatto che potrebbe recepire il messaggio nel modo giusto. Ne ricaverebbe che lei se ne va a causa sua. Forse si incolperebbe, persino, di provocarle disagio.

No, mi dispiace, ma per quanto si possa rigirare questa puntata e cercarvi dei difetti narrativi, sono persuasa che non esistessero altre opzioni. Booth e Brennan sono in una fase di stallo, intrappolati tra mille emozioni accumulate le une sulle altre, come le cianfrusaglie collezionate ossessivamente dalla vittima dell’episodio. La sintonia è inceppata. Quasi non riescono nemmeno più a essere sereni insieme, non alla fine, non quando ballare, cantare, raccontarsi favole non basta più.

Le cose devono cambiare.

In questo sono più che sinceri. Nella scena della panchina, che personalmente amo molto, secondo me lo sono, per quello che possono esserlo in quel momento, senza ferirsi troppo, con delicatezza. Li guardi e ti tornano in mente nella stagione precedente, a pattinare sul ghiaccio con gli occhi luminosi. Lei che diceva che tutto cambia prima o poi, lui che le prometteva che nulla tra loro sarebbe mai cambiato. E un po’ ti si forma un groppo in gola, perché i due che pattinavano si crogiolavano in un’illusione, mentre i due sulla panchina si sono risvegliati entrambi, da un sogno cancellato e perduto. Lei adesso dice “quando torniamo potremmo ricominciare da dove abbiamo lasciato” e forse davvero spera che possa essere così. Sarebbe rassicurante, la prova che stare via un anno la aiuterà a sistemare ogni cosa. Lui invece risponde che no, le cose dovranno cambiare. E guarda lontano. Si capisce che sta pensando al suo proposito di andare avanti, alla consapevolezza che se vorrà continuare ad essere il suo partner, il suo amico, dovrà costruirsi una vita propria, una vita in cui lei non sia più il perno, la stella polare. Istinto di sopravvivenza.

Un’amica esperta di tarocchi, nello studiare le carte lette da Avalon Harmonia nella premiere, mi aveva spiegato che Booth e Brennan risultavano incatenati dalle loro rispettive paure, legati a convinzioni obsolete e che una carta in particolare presagiva disastro, ma era la carta subito prima di quella delle stelle, della speranza.

Non so se le carte di Avalon facessero parte di un disegno voluto e prestabilito, ma di nuovo tutto pare legarsi con maestria. Booth e Brennan sono incatenati, impossibilitati ad evolvere e l’unico modo che hanno per liberarsi è separarsi. Allentare per un anno il legame che li unisce.

Perciò eccoli tornare alle origini. A prima di incontrarsi, di essere in due, quando lei faceva antropologia pura e lui era un soldato. Tornare indietro per tentare poi di andare avanti. Poetico, per me, struggente.

Per tanti deludente, anticlimatico addirittura. Scontentati dalla mancanza di un bacio, di un abbraccio.

Personalmente mi domando cosa un bacio avrebbe significato… Che queste due persone potevano sentire il sapore l’uno dell’altra e poi separarsi per un anno? Ma davvero una cosa simile sarebbe stata bella? Davvero avremmo voluto vedere Booth e Brennan che si tenevano stretti e si scambiavano il quarto bacio della loro vita, il secondo davvero lucido, il primo voluto da entrambi… e poi si separavano per dodici lunghi mesi?

Con tutto il massimo rispetto per chi la pensa così, signori e signore, io mi dissocio. Se fosse successo questo avrei pensato che non valeva più di tanto la pena di sperare.

No, no, ho amato, adorato che sia stati capaci soltanto di guardarsi, scambiarsi poche parole e tenersi per mano. Una stretta di mano tanto più intensa perché più di quella non potevano permettersi. Talmente intensa che Booth deve lasciarla per primo, lui quello che si è imposto di andare avanti. Sfila la mano dalle dita di Brennan, ancora ostinatamente chiuse sulle sue, a trattenerlo. Lei, quella che ha preso l’iniziativa di partire, ma che il cuore lo lascia nel petto dell’uomo che se ne sta andando.

Che volete che vi dica… Io la trovo una delle scene più straordinarie di sempre. E ogni volta che sento i primi accordi di “Kandi” mi tremolano le ginocchia, perché nella testa rievoco Brennan che si volta nella folla e  guarda Booth. Il quale – concedetemi un puro momento da fan girl in delirio – è così bello che dovrebbero dichiararlo illegale. Poi si girano entrambi, verso il futuro. L’inizio nella fine.

Ed io sospiro, in preda al rapimento.

L’amore uccide ciò che siamo stati perché si possa essere ciò che non eravamo – Sant’Agostino


6- Conclusione

Booth Bones per mano finale 5x22

Insomma, Hanson hai vinto. Quantomeno nei riguardi della sottoscritta puoi considerarti soddisfatto. Mi hai sottomessa, costretta in ginocchio. Mi prostro, umilmente grata per il tumulto e i brividi, le lacrime e le risate che hai regalato al mio cuore con la quinta stagione e con la possibilità di riscoprire come se fosse nuova l’intera serie.

Ad Hanson quel che è di Hanson. Amen.

Certo, resta ancora un interrogativo… Ti adorerò con altrettanto ardore anche l’anno prossimo, a quest’ora?

Bella la domanda.

Brennan potrebbe obbiettare che la definizione di follia è fare sempre la stessa cosa sperando in un esito diverso. Quindi perché sperare in una sesta stagione all’altezza della quinta se è risaputo che la maggioranza dei telefilm prima o poi ti delude?

Booth, d’altro canto, potrebbe ribattere che lui lo sa, sa fin dall’inizio che certi rapporti durano una vita. E certi telefilm, nel bene e nel male, ti costringono a non abbandonarli, ad arrivare in fondo. A crederci.

Perché come leggevo di recente, per essere un vero fan non occorre esserci dall’inizio, conta esserci alla fine.

Che dire… Il rischio è insito in tutte le cose. Dall’amore alla tv. E amare una serie ti espone alla sofferenza. Al rischio concreto che dopo una quinta stagione geniale, Hanson faccia un pasticcio e mandi in malora i risultati ottenuti. E che ci sia un drastico calo di spettatori schifati (come hanno allegramente predetto alcuni) e la serie non venga più rinnovata concludendosi nel disonore. Possibile, possibilissimo. Così come è possibile che la sesta stagione sia di medio livello, senza infamia e senza lode e ci lasci a rosicare nostalgici dei bei tempi. Oppure, potrebbe anche darsi che Hanson sappia quello che sta facendo e prosegua lungo un percorso coerente che ci riserverà nuove, forti emozioni…

Tutto può essere. Ed io sono qui ad aspettare di scoprire come andranno le cose. Soprattutto sono serena, anche dopo aver letto un po’ dei primi spoiler (che peraltro mi incuriosiscono molto). La cosa più importante è che non voglio più chiedermi perché Hanson non mette insieme Booth e Brennan, di chi sia la colpa, se c’entrino il network, la volontà degli autori , il buco dell’ozono o la profezia dei Maya. Non voglio più chiedermi perché nella serie non fanno quello che mi piacerebbe. Quello che vorrei vedere.

Adesso voglio solo godermi questa storia, così come mi viene raccontata. Godermi il viaggio e scoprire un passo per volta dove mi porterà. Forse sarà la meta che auspico, forse no, forse sarò delusa, forse mi arrabbierò, forse mi emozionerò, forse resterò a bocca aperta per una sorpresa inaspettata, chissà… ma credo che valga la pena intanto rimirare il paesaggio durante il tragitto. Finora ho visto grandi cose e sono pronta a quel che c’è dietro la prossima curva.

Quindi, sì, lo ribadisco, sono follemente innamorata di “Bones” e il mio è amore vero, di quelli da buona e cattiva sorte, che durano trenta, quaranta, cinquanta stagioni. Uno di quelli che ti fa crescere le ali sulla schiena e ti permette di volare.

Resterò sino alla fine.

In ogni caso le mie carte dicono che alla fine tutto funzionerà – Avalon Harmonia

10 Commenti

  1. Pingback: Tweets that mention La 5^ stagione di Bones analizzata ai Raggi X : -- Topsy.com

  2. jessica.to

    Devo proprio dire GRAZIE!!!! Davvero graze, per questa splendida recensione che mi ha regalato un’opinione non ancora presa in considerazione… Hai descritto, spiegato e commentato perfettamente ogni singola cosa. Sono d’accordo con te! E come te non voglio veramente sapere se Hanson ha ottenuto questo risultato volutamente o per caso. Se e’ stato voluto e’ un genio! E se e’ stato un caso, probabilmente sei tu un genio che hai ricavato tutto cio’ xD. In ogni caso, posso affermare anche io, ad alta voce, che amo ‘Bones’ e che continuero’ a seguirlo confidando in questo nostro genio incompreso (da alcuni) xD
    Ancora complimenti! ^^

  3. omelette73

    Quoto Franca in ogni singola parola (e sospetto lei lo sppia!), bellissimo intervento e scritto con passione e coerenza. Leggerei con altrettanto piacere l’opinione di chi non ha avuto le stesse percezioni di Franca ed è invece rimasto deluso dalle scelte intraprese da Hart Hanson & C.

  4. sella

    Sono emozionata e forse non in grado di esprimere con le parole quanto sento nel mio cuore. Penso che tornerò a commentare.
    Quello che hai scritto non è una recensione, ma un atto d’amore, amore dichiarato e rivelato, che nel suo esprimersi di per se stesso invita alla condivisione. Bisogna avere un cuore grande per essere così capaci di cogliere e far proprio quanto di grande e di profondo ci viene donato.
    Grazie, dal profondo del cuore.

  5. Dreamhunter

    Innanzitutto grazie a Sella. Troppo buona. Sai sempre dire cose che vanno oltre l’effettivo valore di quanto ho scritto. :D
    E grazie anche a Teresa e Jessica.
    Ci tengo particolarmente che questo commento venga percepito per quello che è, ovvero proprio una dichiarazione personale del mio amore per questa serie e una celebrazione delle emozioni che mi ha regalato quest’anno. Ho fatto aggiungere la postilla con le avvertenze, perché un’amica a cui l’avevo fatto leggere privatamente vi ha colto spregio nei confronti di chi non la pensa come me e mi premeva fosse chiaro che non è assolutamente così. Ci mancherebbe. Non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando di un telefilm, qualcosa che deve comportare piacere e leggerezza, e sentimenti di “spregio” verso gli altri non devono rientrarvi. Non hanno senso.
    Se questo commento può servire a qualcuno per riflettere e prendere in esame nuove prospettive, mi fa piacere, ma è quello che è, il mio pensiero, e ha lo stesso peso e valore di quello di chi invece si è disamorato di Bones ed è arrabbiato con Hanson. Se ho citato le opinioni contrarie, non è stato per smontarle o sminuirle, ma semplicemente per spiegare meglio perché non le condivido. E’ un metodo che ho sempre adottato abitualmente anche nei Raggi X consueti.
    Di fatto io condivido il pensiero di base di chi è scontento. Anche io avrei voluto vedere un’altra storia, Booth e Brennan insieme, un telefilm che raccontasse delle dinamiche della loro vita coppia. Su questo sono d’accordo. Il mio messaggio, con questo commento, è che però, mentre sogno del telefilm che avrei voluto vedere, mi piace anche vedere quello vero che sta andando in onda. E dopotutto amo anche i Booth e Brennan complessati e problematici di Hanson, che non sono quelli molto più risolti che vorrei vedere, ma mi stanno dando un sacco di emozioni. Insomma, sono giunta alla conclusione che non voglio concentrarmi troppo su ciò che potrebbe essere, ma voglio godermi ciò che c’è. Il che non significa che rimprovero chi non lo fa. Vi sto solo dicendo quello che provo io.
    In generale poi, intendevo rendere onore al lavoro di Hanson. Può piacerci o non piacerci, interessarci o no, ma credo che onestamente non si possa dire che la storia imbastita da questo autore sia debole, superficiale o banale. Ci sono telefilm persino di maggior successo in cui è impossibile rintracciare tanti rimandi narrativi e psicologici.Per cui diciamo che voleva anche essere un segno di rispetto e ringraziamento ad Hart: sia che la sua storia ci piaccia o no, è davvero un buon autore. Almeno per me.
    Okay, dopo questo non parlo più, ma ci tenevo a ribadire questi concetti.:)
    Quando sei innamorato, desideri comunicare concetti positivi, non negativi. :D

  6. mary1983

    Un commento fatto avendo messo il cuore in quinta!!!!! Meraviglioso!!!!
    Credimi Franca che dalle tue parole emerge totalmente l’amore per Bones e, almeno, per me non c’è nessuna traccia di spregio per chi la pensa diversamente da te. Al contrario, credo che possa essere utile per far capire ad altre persone tutte quelle sfumature, di cui è ricco questo telefim e che, ad una visione superficiale, possono sfuggire!!!
    Personalmente la penso come te, amo anch’io Bones alla follia e in particolare questa 5 stagione che ha saputo regalarci emozioni fortissime dalla prima all’ultima puntata, grazie a degli attori straordinari e un autore tanto diabolico (in senso positivo) quanto geniale!!!
    La mia speranza è che Hanson continui su questa strada e continui a regalarci una storia speciale fatta di emozioni intense come è stato fin’ora!!!!!!!!! Fin’ora apprezzo appieno il lavoro fatto da Hansone perciò mi godo anch’io quello che sto vedendo ora e aspetto comoda comoda questa 6 stagione sperando che mantenga il livello raggiunto dalla stagione appena conclusa!!! Attendo fiduciosa!!!!
    Nel frattempo un grosso grazie a Franca per avere condiviso questa magnifica recensione!!!!!

  7. Isabel_

    Vorrei farti una statua! concordo con ogni singola parola, ogni affermazione, dubbio, speranza… sei riuscita a dare voce ai miei pensieri, e anche a farmi rifletteresu molte cose che io non ero riuscita ad inquadrare nel modo giusto, affamata com’ero di un vero rapporto sentimentale tra booth e temp… vabbè concludo ^^ ciao e grazie di avermi aperto gli occhi

  8. DorisBay

    Mi sono da poco iscritta al forum in quanto appassionata di Bones nuova nuova. In questi 3 mesi estivi ho avuto modo di leggere voi di i-Bones più e più volte e anche grazie a voi mi sono persa nel mondo di Bones.
    Ora.. mi sono letta ovviamente tutti i raggi x ( che sono davvero acuti)..
    ma questo in particolare mi ha lasciato senza fiato.
    L’ho letto più di una volta in verità; all’inizio l’ho fatto avendo alle spalle ben pochi episodi visti e “sentiti” davvero, ma ero talmente affamata ( di Bones ovviamente) che divoravo tutto quello che trovavo!
    Poi mi sono del tutto aggiornata con gli episodi (rigorosamente in inglese), e rileggere queste parole non solo mi ha permesso di apprezzarle e comprenderle appieno, ma mi ha davvero commossa.
    Le tue parole non potrebbero esprimere meglio quella che è stata la mia sensazione nel percorrere il viaggio che è stato guardarmi 5 stagioni di Bones in circa un mese.
    Anzi, grazie alle tue parole credo di essere riuscita a capire perchè ho amato tanto questo telefilm in così breve tempo.
    E perchè questa quinta stagione mi era davvero entrata nel cuore, ma è grazie a te che sono riuscita a razionalizzare quello che il cuore aveva già capito!
    Hai ragione quando parli di Capolavoro ( mi pare di ricordare che tu lo faccia, spero di non avere le traveggole..), e sono totalmente d’accordo nel dire che in maniera diversa non poteva andare, maniera che a mio personal parere è stata perfetta.
    Le loro mani strette all’aereoporto, “the eye hug”.. credo che nessun’altra scena ( non un abbraccio, non un bacio) avrebbe potuto raggiungere una tale forza, un tale dolore.
    Per non parlare di ciò che hai detto riguardo al centesimo..Meraviglioso.
    Il tuo commento mi resterà davvero dentro, e ogni volta che riguarderò la quinta stagione ( e non solo!) penserò alle tue parole, perchè se HH lo ha spiegato a te, tu lo hai spiegato a me!
    Grazie!
    Ti saluto davvero commossa, nella speranza di poter godere ancora delle tue perle la prossima stagione.

  9. Dreamhunter

    Passo di qui per ringraziare Mary1983,Isabel_ e DorisBay. Sono contenta che il mio commento vi sia piaciuto così tanto. Credo che sia perché era straordinario quel che commentavo. ;)
    Per quel che mi riguarda sono felice di trovare altre persone che stanno vivendo questo viaggio con le stesse emozioni con cui lo vivo io. :)
    Per rispondere a DorisBay, non so se le mie siano perle, comunque sì, mi leggerai. :) So di essere sempre cronicamente in ritardo, ma nel corso dei prossimi mesi recupererò tutti i Raggi X mancanti e farò in contemporanea anche quelli della nuova sesta stagione. Quindi avrai presto mie notizie su questi schermi. :D
    Grazie ancora a tutte!!!

  10. bob gianni

    Le ho scritto ieri, l’ho riletta per l’ennesima volta oggi. Scrivendo col cuore e con leggerezza mi ha aiutato nel rivedere e riflettere sui telefilm di Bones. Per me che guardavo solo attraverso le emozioni è stato come uno squarcio di un velo, ho potuto guardare dentro i personaggi, anche attraverso il mio cuore.
    Io sono una persona felice e desidererei tanto che lo fossero anche gli altri, anche i personaggi delle narrazioni che mi appassionano. Lei mi ha fatto capire e sperare. Qualcuno ha scitto (non ricordo chi) che i momenti più belli sono quelli che vivremo, ed io lo interpreto non solo come una speranza, ma come un invito alla propria partecipazione attiva se si vogliono ottenere dei risultati, nella vita come nelle questioni di cuore.
    Lei ha scritto ed io ho letto con interesse e partecipazione e giò mi ha permesso di guardare alla fiction ed ai suoi personaggi non solo “con la pancia” ma anche “con la testa”, ed il cuore ne esce più forte, nella lettura come nella vita.
    Grazie.
    P.S. io amo il lieto fine. Più cresce, più si evolve, più matura, più diviene logica conseguenza dei pensieri e dell’azione dei soggetti cloinvolti più mi rapisce e mi dà forti emozioni. Spero tanto che Hanson non mi deluda.
    Bob Gianni

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